Sono ultrasessantenne e non mi sembra vero!

di Alberto Pirodda   

Sono nato (stanco) il 24 settembre del 1941, secondogenito di quattro figli: Gianfranco, Alberto, Rosella e Paolo. Pare che io abbia tardato a parlare, tanto che miei nonni si erano convinti che fossi muto. Mia madre, che mi aveva sentito dire qualche parola, sapeva che non lo ero, semplicemente non avevo ancora niente da dire. Un giorno mi sentirono canticchiare un valzer viennese che poco prima mio zio aveva suonato al pianoforte: insomma, ufficialmente ho cominciato a cantare prima ancora di saper parlare. Stavo ancora imparando a camminare e, infilato nel girello, mi fermavo vicino al pianoforte e cercavo di suonarlo. Senza ombra di dubbio avevo dato segnali inequivocabili che il mio futuro era "la musica". Io avrei voluto studiare pianoforte ma purtroppo in famiglia avevamo un parente, valentissimo musicista, che però non viveva nell'agiatezza ed era considerato un "parente povero", per cui la parola "musica" in casa mia era una parolaccia; mi dovetti accontentare di strimpellare "ad orecchio".

Finite le medie il mio "padre padrone" mi iscrisse al Ginnasio; io avevo provato, timidamente, a suggerire che, forse, sarebbe stato più giusto iscrivermi al Liceo Scientifico, essendo io portato per le materie scientifiche; ma lui, che insegnava matematica e fisica, aveva fatto il Classico e riteneva che fosse la Scuola più completa che prepara a qualunque facoltà. A marzo, andando in bicicletta, alla fine di una discesa ripida scivolai in una curva ghiaiosa e mi fratturai la tibia destra. La frattura, neanche a farlo apposta, era a "becco di flauto"; l'ortopedico mi ingessò tutta la gamba, dal piede fino alla coscia e dato il pericolo che l'osso non si saldasse perfettamente, fui costretto a restare a letto per più di 90 giorni. Quando mi tolsero il gesso l'anno scolastico era finito. Avendo perso l'anno, per mio padre la mia carriera scolastica era ormai rovinata e decise di non farmi ripetere ma di iscrivermi all'Istituto tecnico per geometri. Anche in questo caso proposi di iscrivermi all'industriale che mi sembrava più adatto alle mie capacità (ho sempre avuto la passione per l'elettricità, la meccanica, ecc.) ma mio padre non volle intendere ragioni: - Il diploma di geometra è più decoroso!-

Ero in terza geometri quando, nell'Istituto in cui frequentavo, si organizzò uno spettacolo di rivista; chiesero in ogni classe se c'era qualcuno che sapeva suonare, cantare o recitare ed io mi presentai come pianista-fisarmonicista. In quella occasione, a parte Nuccio, il chitarrista, che oltre che essere un lontano parente era un vecchio amico e compagno di strimpellate, fin dall'adolescenza, conobbi altri quattro ragazzi coi quali poi organizzammo il complesso musicale "The Hurricanes". Eravamo molto chiassosi e prediligevamo i ritmi allora in vigore: Rock e Cha cha cha, ma ci piaceva anche fare il genere da "night" (musica in sordina). Eravamo tutti orecchianti ed io avevo il compito di organizzare le "orchestrazioni"; il sassofonista e il clarinettista, durante l'esecuzione dei vari pezzi cantati, dovevano fare delle note di accompagnamento ed io, non sapendo scrivere la musica, scrivevo su dei foglietti le note che i due strumenti dovevano fare; ad esempio: - Quando Angelo canta "guarda che luna" nella pausa tu Efisio fai: mib mib mib e tu Antonello: sol sol sol, e dopo "guarda che mare" Efisio fai: re re re e Antonello: fa fa fa ecc.- Efisio imparava facilmente le note da fare ma Antonello aveva qualche problema di memoria per cui conservava tutti i foglietti con le note (scritte in corsivo). La prima volta che suonammo in pubblico fu allo stabilimento balneare D'Aquila. Ci sistemarono su un palchetto sul cui bordo c'erano due grandi vasi con siepi di pittosporo alte circa un metro. Antonello appendeva i foglietti con le orchestrazioni nelle foglie del pittosporo. Ogni tanto si sentiva qualche nota stonata: aveva sbagliato foglietto! Dopo vari cambiamenti il sestetto divenne un quintetto di cui faceva parte mio fratello Gianfranco che suonava la chitarra o il saxofono contralto. L'anno dopo, il 1960, vincemmo i concorsi, prima provinciale, poi regionale ed infine nazionale dell'E.N.A.L. (un ente dopolavoristico), nella sezione "complessi con cantante". Nello stesso concorso partecipò un giovane clarinettista, molto bravo, che col suo gruppo vinse il primo premio per la sezione "complessi senza cantante": era Lucio Dalla. Continuai a suonare, con diverse formazioni, ed a frequentare l'Istituto tecnico.

Il "primo aprile" del 1962 mi fidanzai con Paola (lo scherzo dura ancora); lo stesso anno conclusi i miei studi secondari. Dopo il diploma mi iscrissi all'unica facoltà possibile per i diplomati degli istituti tecnici: scienze economiche e commerciali. Un anno dopo, avevo superato l'esame di matematica quando, in seguito ad una modifica della legge, fu consentito ai diplomati degli istituti tecnici di iscriversi ad alcune facoltà scientifiche. Decisi di cambiare facoltà e superato il previsto esame di ammissione mi iscrissi in matematica. A gennaio del 1964 partecipai ad un concorso per titoli per l'assunzione nella segreteria dell'Istituto Magistrale di Cagliari e fui assunto. Si trattava (nelle mie intenzioni) di un lavoro provvisorio. Chiesi al Preside il permesso di poter frequentare le lezioni universitarie; ottenuto il permesso la mia vita si svolgeva come segue: la mattina frequentavo le lezioni alla facoltà di matematica, dalle 14 alle 20 lavoravo a Scuola, dopo andavo a casa di Paola dove mi trattenevo a cena, poi, tornato a casa mia, mi mettevo a studiare fino alle ore piccole. Questo tipo di vita non mi consentì di seguire la musica leggera; infatti il mio repertorio si ferma al 1963, da allora in poi c'è il vuoto. Dopo due anni di questa vita mi resi conto che avrei dovuto scegliere se lavorare o studiare visto che non ero in grado di fare entrambe le cose; decisi quindi di rinunciare al rinvio militare e di togliermi dai piedi la "naja". Continuai a suonare fino all'inverno 1965/66, poi partii per il servizio militare. Al mio ritorno il mondo della musica leggera era completamente cambiato: la musica da "night" non si usava più, il pianoforte era sparito, i gruppi emergenti utilizzavano chitarre e chitarre-basso a tutto volume, insomma era arrivata l'era dei "Beatles": quelli che hanno sollevato il volume degli strumenti in modo insopportabile. Ancora oggi i giovani vanno a farsi assordare come tanti imbecilli nelle discoteche, come se fosse impossibile ballare ed ascoltare la musica con un volume più basso, come facevamo noi, che riuscivamo a gustare la melodia ed a parlare con gli altri. Le discoteche sono il simbolo dell'incomunicabilità; ci sono stato due volte contemporaneamente: la prima e l'ultima. Appena arrivato mi sono reso conto che la musica aveva un volume troppo alto, ma mi sbagliavo; ancora non avevo sentito il vero volume. Quando lo sollevarono mi resi conto di trovarmi in mezzo a dei pazzi furiosi; non riuscivo a parlare con i miei amici. Conclusi la serata ballando in mezzo alla pista e gridando a squarciagola parolacce: nessuno se ne accorse. Successivamente ho odiato l'assassino di John Lennon: secondo me si era fermato troppo presto.

Nell'ottobre del 1967, ero rientrato dal servizio militare da pochi mesi, l'Istituto Magistrale si sdoppiò; essendomi impratichito nei vari settori del lavoro di segreteria, si era pensato a me come segretario del nuovo istituto, ma il diploma di geometra non era titolo valido; i titoli consentiti erano: diploma di ragioniere, maturità classica, maturità scientifica e abilitazione magistrale. Fu nominata una collega che aveva il diploma di maestra elementare.

Nel 1968 la segretaria si ammalò e la sostituii io, per parecchi mesi; a maggio del 1969, venuto a sapere che non sarebbe ritornata (si era fatta suora) decisi di sostenere l'esame di maturità magistrale. Dovetti studiare, o ripassare, quattordici materie, alcune delle quali nuove per me: filosofia, pedagogia, psicologia, storia dell'arte; altre lasciate nelle medie, come il latino, altre ormai quasi dimenticate, come la fisica, la chimica ecc. Insomma dimagrii di circa quattordici chili (un chilo per materia). Fui promosso e, il primo ottobre 1969, fui nominato segretario.

Il mio primo maestro fu il segretario dell'altro Istituto magistrale, ma i trucchi del mestiere me li insegnò il preside Danilo Murgia. Il primo gennaio 1970 passammo dall'amministrazione controllata (dal Provveditorato agli Studi) a quella diretta. Arrivò il primo ordine di accreditamento con i fondi per gli stipendi ed io inviai alla tesoreria della Banca d'Italia l'ordinativo per il pagamento, firmato da me e dal preside, con i documenti previsti. Tutto filò liscio e, il mese dopo, la tesoreria inviò un modulo verde che riportava i dati dell'ordinativo e che, non sapendo a che cosa servisse, conservai in una cartellina. Poco tempo dopo giunse una lettera della Tesoreria, inviata in copia, per conoscenza, al Ministero della Pubblica Istruzione, nella quale si chiedeva "per quale motivo non si era provveduto al ritiro dell'ordinativo estinto del mese di gennaio 1970 entro il 20 febbraio, come previsto dalle disposizioni". Chiesi subito lumi al segretario dell'altro Istituto che mi spiegò come fare, utilizzando il modulo verde e delegando qualcuno per il ritiro dell'ordinativo estinto, che poi bisognava allegare ai rendiconti trimestrali da inviare al controllo della Ragioneria Regionale. Una volta provveduto al ritiro del documento contabile per noi e per la tesoreria l'incidente si chiuse; ma il Ministero inviò un primo sollecito a una risposta alla lettera della tesoreria. Il Preside mi suggerì di scrivere sul bordo della lettera "in attesa di sollecito" e di archiviarla. Quando, circa sei mesi dopo, arrivò il secondo sollecito mi disse di scrivere "in attesa di ulteriore e più pressante sollecito". Ma quando, dopo circa un anno, giunse il "terzo sollecito urgente", Danilo Murgia mi spiegò che cosa succedeva: - Sicuramente c'è un impiegato del ministero che ha questa lettera in evidenza. A lui non interessa che cosa gli scriviamo, gli serve solo un riscontro, un pezzo di carta qualunque, da allegare, per poter archiviare la pratica; facciamolo fesso e contento, scrivi: con riferimento ecc. ecc. non fu possibile il ritiro dell'ordinativo estinto entro il termine previsto dalle disposizioni, perché l'impiegato addetto era cachettico, e se non sa cosa vuol dire se lo guarderà nel vocabolario, (significa malaticcio) e i possibili sostituti cachettici anch'essi. Distinti saluti, ecc.- Il Preside mi raccontò in quale occasione aveva conosciuto la "burocrazia fine a se stessa". Tanti anni prima, quando era un giovane commissario di italiano agli esami di maturità il Presidente di commissione (un Preside anziano) gli chiese il favore di scrivere per lui la relazione finale. Danilo Murgia scrisse una lunga e circostanziata relazione e il Presidente la trovò molto bella e la sottoscrisse; poi aggiunse delle parolacce con il lapis rosso-blù nei bordi della pagina, la piegò in quattro e la spedì, con un foglio di trasmissione, al Ministero. -Non me ne è mai tornata una indietro! - gli confidò - Pensa a quante commissioni ci sono in Italia e quanti dipendenti ci vorrebbero al Ministero per leggersi tutte le relazioni finali degli esami di maturità.-

Danilo Murgia è famoso per alcuni episodi divertenti. Una volta era commissario di Italiano e doveva interrogare un candidato che gli era stato raccomandato. Il candidato faceva scena muta e Danilo parlò lui per quasi tre quarti d'ora facendo una disamina completa della letteratura italiana dall'Alfieri al novecento. Alla fine congedò il candidato dandogli la sufficienza. Il professore che gli faceva da assistente affermò :- Ma quello non sa niente!- Ma il Prof.Murgia lo contraddisse : - Non sapeva niente! Adesso spero che abbia imparato qualcosa.-

Il 1970 è stato un anno indimenticabile, nel bene e nel male. Il 25 febbraio morì mio padre. Gli ho voluto bene, come è ovvio, ma mi sono sentito tradito quando ho saputo da tutti i suoi amici che era un amicone, un simpaticone, sempre pronto alla battuta. Io l'ho conosciuto sempre compreso nel suo ruolo di educatore, con un atteggiamento serio e compassato. Ho considerato il suo comportamento come un esempio da non seguire: con miei figli io ho cercato di essere un amico, al diavolo i pedagogisti che non la pensano allo stesso modo. Quello stesso anno il Cagliari vinse il suo unico scudetto. Fui molto dispiaciuto che babbo, che era tifoso, non fece in tempo a vivere quel momento. Ad agosto Paola ed io ci sposammo, al nostro confronto i "promessi sposi" ebbero un fidanzamento-lampo. Io sostengo che se l' ho sposata la colpa è del Cagliari, infatti le avevo, scherzosamente, promesso che avremo convolato a giuste nozze non appena i rosso-blù avessero vinto lo scudetto. Il Cagliari però in quel periodo (1962) era ancora in serie C e non era mai stato in serie A.

Anche il 1971 fu un anno con aspetti negativi e positivi. Nel mese di agosto Franco Galassi, un carissimo amico, insieme al quale avevo fatto tutto il servizio militare e che si era appena laureato, decise di venirmi a trovare in Sardegna; non mi aveva avvertito preventivamente ed io ero dalle parti di Capo Teulada in campeggio. Non avendomi trovato a Cagliari e non essendo riuscito a comunicare con me, andò a visitare la costa Smeralda. Al suo ritorno ebbe un brutto incidente nei pressi di Cagliari. Mi rintracciarono e corsi all'ospedale, ma, data la gravità, non mi consentirono di vederlo. Morì pochi giorni dopo di bronco-polmonite.

A dicembre nacque il mio primogenito Augusto. Fu un emozione indescrivibile, che si ripeté a settembre del 1974 (Mauro) ed a gennaio del 1978 (Stefano).

La mia fissazione per la musica non poteva non coinvolgerli: feci studiare pianoforte a tutti e tre; non volevo commettere lo stesso errore fatto dai miei genitori. Solo Augusto ha proseguito con lo studio del pianoforte; due anni fa conseguì il "master" in piano jazz al conservatorio di Den Haag (L'Aja), in Olanda e adesso ha fatto della musica la sua professione. Mauro, che suona non molto meglio di me, si è dedicato all'informatica e Stefano (che sembrava il più portato) ha abbandonato quasi subito (studia Economia aziendale).

Sono stato anche appassionato di bridge, gioco che ho insegnato anche a miei figli. Nel primo pomeriggio giocavamo tutti e quattro. Quando Augusto e Mauro sono diventati abbastanza bravi hanno partecipato a qualche torneo. Una volta hanno vinto la coppa per la prima coppia "under 35" (loro a 35 anni non ci arrivavano neanche sommando le loro età).

Nei primi anni novanta ho ripreso a suonare in pubblico, più che altro in un ristorante di un amico, ma sempre come dilettante; eravamo in pieno "revival" e non ho avuto bisogno di preparare pezzi nuovi, andavano benissimo quelli dei primi anni sessanta. Ho dovuto smettere a causa di un grosso problema: nel marzo del 1995, avevo 53 anni, mi svegliai in piena notte con un fortissimo dolore al ventre. Era un sabato o meglio, essendo passata la mezzanotte, una domenica; succede spesso che le scocciature capitino nel fine settimana. Era un dolore sconosciuto, che non avevo mai provato e siccome credo di conoscere bene il mio organismo, pensai che si trattasse di un'appendicite: l'appendice non mi aveva mai causato fastidi, prima di allora. L'indomani chiamai il medico di famiglia che, dopo avermi visitato, scartò subito l'ipotesi dell'appendicite: -Che cosa hai mangiato?- mi chiese; purtroppo avevo mangiato, tra l'altro, un piatto di arselle alla marinara (le arselle sono dei molluschi bivalve simili alle vongole) e decise che erano loro la causa del mio mal di pancia. Mi prescrisse una purga ed io, stupidamente, obbedii. Dico stupidamente perché le arselle le avevo cucinate io e, per abitudine, le controllo una per una e quelle che non si aprono le scarto; quindi erano tutte freschissime.

Presa la purga, invece che diminuire, il dolore si centuplicò; passai la notte successiva tra mille sofferenze, che non augurerei al mio peggior nemico (si fa per dire: non ho nemici). Non riuscivo a trovare nessuna posizione (coricato, seduto, in piedi, sdraiato...) che mi consentisse di sentire meno dolore. La mattina prestissimo, dopo una seconda notte insonne, richiamai il medico che, preoccupato, mi accompagnò immediatamente al pronto soccorso. Dopo alcune analisi, fui inviato (con l'ambulanza) al reparto di chirurgia d'urgenza dell'Ospedale Marino. Cominciai subito a fare le debite scaramanzie: nel 1971 in quell'ospedale e proprio in quel reparto (avevano ammazzato... pardon...) era morto Franco Galassi.

Mi fecero altre analisi, tra cui un'ecografia e il medico ipotizzò una pancreatite. Sapevo esattamente cos'è una pancreatite e il mio pensiero tornò a Franco Galassi: - Ciao Franco, pare proprio che ci rivedremo presto!- Pensai. Ma poi subentrò il mio abituale ottimismo e ricordandomi che in quell'ospedale uno dei chirurghi era un mio amico, lo feci chiamare e chiesi a lui di farmi l'intervento. Mi rassicurò e mi sentii più sollevato avendogli trasferito la responsabilità dei miei problemi; ma, per sicurezza, lo avvertii: -Se mi farai morire, ti verrò in sogno ogni notte, ti darò i numeri del lotto e ti convincerò a giocarli! Ma saranno tutti sbagliati!-

Ero tranquillissimo ma un nuovo episodio mi fece agitare: un infermiere, armato di sapone, pennello e rasoio, si accinse a rasarmi i peli del basso ventre. Non aveva un rasoio di sicurezza, ma uno di quelli di tipo tradizionale che non usano più neanche i barbieri e che si affilano con una striscia di cuoio. Ero terrorizzato e lo implorai: - La prego stia attento! Da quelle parti ci vive un amico carissimo!-

Dopo la rasatura mi portarono in sala operatoria e mi addormentarono. Mi risvegliai, parecchie ore dopo, pieno di tubi. Mi resi conto di essere grave vedendo mia moglie e miei figli molto preoccupati e un via vai di medici che mi controllavano in continuazione. Ma, come sempre, il mio ottimismo prevalse; mi sentivo abbastanza bene (si fa per dire) e quindi pensai che il peggio era passato.

Avevo una radio con le cuffie e la notte ascoltai una trasmissione di musica classica; pensai che mi sarebbe piaciuto ascoltare il secondo concerto per piano di Rackmaninoff, quello del film "Quando la moglie è in vacanza", con Marylin Monroe (che però preferiva le "tagliatelle"). Caso strano, trasmisero proprio quel concerto; non sono superstizioso, ma pensai che fosse un segno positivo. L'indomani diedi uno sguardo alla cartella clinica che era appesa ai piedi del letto e conteneva, tra l'altro, i dati dell'operazione. Appresi che mi era stata praticata la "toilette del cavo peritoneale"; la denominazione era quasi vezzosa ma si trattava di peritonite. Lessi anche che mi era stata messa una sonda nel "Douglas". Non sapendo che cosa fosse il "Douglas", mi preoccupai un po', (che si trattasse del "pisello"?) poi mi spiegarono che si tratta di una cavità dell'addome.

Dopo tre giorni mi tolsero il tubo che dal naso scendeva in gola e mi resi conto di essere rauco; provai a schiarirmi la voce ma tale operazione mi provocava dolore alla ferita (mi avevano fatto uno sbrego che arrivava più in alto dell'ombelico). La mia voce non migliorò nei giorni successivi, ero afono e non c'era niente da fare. Chiesi spiegazioni al mio amico chirurgo che ipotizzò che ci fosse stata una lesione alle corde vocali causata dall' intubazione per l'anestesia. In quel periodo avevano recuperato vecchi tubi, forse un po' troppo grossi (che precedentemente erano andati in disuso) e l'amministrazione aveva disposto il loro utilizzo per risparmiare. Mi suggerì di chiedere l'indennizzo, visto che esisteva un'assicurazione per casi del genere; per ottenerlo avrei dovuto presentare un certificato, rilasciato da un otorino, che attestasse la lesione alle corde vocali.

La mia voce non si decideva a ritornare; mi feci visitare da due diversi specialisti i quali, pur constatando i danni riportati alle corde vocali, non mi rilasciarono nessuna certificazione. Mi assicurarono che sarei guarito ma non se la sentirono di dichiarare che quella situazione non esisteva prima dell'intervento chirurgico; forse non volevano danneggiare l'anestesista (cane non mangia cane).

Gradualmente ritornai alla normalità. La ferita per parecchio tempo mi servì da barometro: quando prudeva la pioggia era imminente. Nei tre anni successivi la raucedine non mi passò. Io non avevo mai smesso di suonare (il pianoforte o le tastiere) e spesso, con gli amici, mi piaceva cantare. Da quel marzo del 1995 la cosa divenne impossibile. Le false corde vocali funzionavano bene (quelle che si utilizzano per cantare in falsetto), ma a me non piace il repertorio dei "Cugini di campagna".

Fui seguito da una logopedista che mi insegnò degli esercizi per far cessare la raucedine. Adesso la mia voce è ritornata quasi normale, ma ho dovuto preferire il repertorio di Fred Buscaglione che si può cantare anche con la voce un po' rauca.

Da settembre del 1996 sono pensionato, e da gennaio del 1997 è pensionata Paola, che è stata per 35 anni impiegata presso una ditta privata. Siamo diventati due piccioni viaggiatori: dal lunedì al giovedì siamo a Cagliari e il giovedì pomeriggio andiamo a passare il fine settimana a Castiadas da mia cognata Giuliana. La zona è bellissima, piena di foreste, di spiagge e di calette. Nei mesi estivi, invece, ci stabiliamo in un residence presso la spiaggia di Geremeas, dove abbiamo una casa con giardino. Insomma, siamo diventati, finalmente, padroni del nostro tempo.

Qualcuno afferma che la "vita è come la scaletta di un pollaio: corta e piena di merda". Non sono d'accordo; io mi reputo molto fortunato e ricco, non di soldi ma di soddisfazioni. Inoltre conto di campare almeno fino al 2061 per poter raccontare (a 120 anni d'età) l'altra metà della mia vita.